Nel 1990 in Italia gli ultrasessantacinquenni erano il 15% dell’intera popolazione, attualmente sono il 21% e si prevede che nel 2035 saranno il 40%. E con l’avanzare dell’età aumenta il rischio di cancro: in Italia oggi più del 60% delle neoplasie solide (mammella, prostata, polmone, colon) viene diagnosticata in pazienti d’età superiore ai 65 anni. Anche i tumori emolinfopoietici presentano questo andamento: il 55,9% dei pazienti affetti da questo tipo di neoplasia è anziano. Il cancro è quindi prevalentemente una malattia che colpisce l’età matura: e lo si vede bene negli ambulatori e nelle corsie dei reparti che seguono pazienti con tumore. Ma, diversamente che in passato, fortunatamente, l’età avanzata non è più una barriera al trattamento chirurgico ed alla radioterapia,e persino alla somministrazione della chemioterapia, anche se in questo caso l’atteggiamento terapeutico deve tenere in maggiore considerazione le altre malattie di accompagnamento e lo stato generale e funzionale del paziente. E i grandi studi epidemiologici Itacare e Eurocare mostrano un aumento dei tassi di sopravvivenza degli anziani neoplastici nell’ultimo decennio.
Questi sono i fatti. Ma di fronte alla nuova emergenza il rischio è quello di non avere strumenti adeguati. Perché il paziente anziano è, spesso, un paziente fragile: colpito da malattie concomitanti al tumore, impedito nella mobilità e affranto da fatiche antiche. Questo richiede all’oncologia una rivoluzione copernicana che ne adegui gli strumenti clinici e metta in campo soluzioni sociali tali da far fronte alla complessità del nuovo malato. E richiede che la società risponda con strumenti finanziari, di organizzazione e supporto adeguati.
Gli italiani sono pronti a questa sfida? Come ritengono si possano trovare gli strumenti per farvi fronte? O pensano che il diritto alla cura abbia dei limiti di età? La nostra indagine risponde a queste domande. E delinea i confini di una nuova bomba sanitaria che rischia di sparigliare i budget e annebbiare le coscienze.
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