L’identità e il ruolo delle persone anziane – ma sarebbe meglio chiamarle “mature” come vogliono essere definite – si sono gradualmente trasformati negli ultimi vent’anni, avvicinando un po’ di più la soggettualità percepita con la soggettualità reale. Anche se lo stereotipo dell’anziano, inteso come soggetto fragile e da assistere, allunga ancora la sua ombra sull’insieme di una categoria che invece presenta largamente (in quasi 9 casi su 10) vitalità, autonomia, iniziativa e voglia di mantenersi attiva a lungo. Per questo è stata promossa un’indagine rivolta ad un campione rappresentativo, articolato in tre sottocampioni di persone di età compresa tra i 50 e i 59 anni, tra i 60 e i 69 anni e da soggetti di 70 anni e oltre. Il focus dell’analisi è quello del possibile prolungamento della vita attiva come del resto si era fatto anche in un’altra indagine di dieci anni prima: solo che oggi ci si riferisce anche alle persone di 70 anni e oltre e non più a quelle di 60 anni e oltre come avvenne in passato. I risultati mettono in luce come la consapevolezza della speranza di vita debba far ragionare sull’adeguatezza della pensione che non necessariamente basterà per rispondere alle esigenze di persone che vivranno molto più a lungo. E proprio per questo la propensione verso una vita significativamente attiva interessa una parte consistente degli intervistati tanto da far dire al 73,0% dell’intero campione che “bisogna accettare l’età anziana anche oltre i 70 anni come un periodo di nuova responsabilità, per non invecchiare prima e per utilizzare al meglio le proprie capacità e le proprie esperienze”: ma il consenso cresce addirittura per i 70enni e oltre, arrivando al 76%!
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